Penso che..., Vita

Dirsi la verità.

Molte volte, ci si può chiedere, nel corso di una visita introspettiva di sé, cosa sia e in che cosa risieda la propria verità, cioè la consapevolezza di ciò che si è scoperto abbia dato un senso alle cose che viviamo. O che cosa lo debba dare.

Una ricerca, cioè, di cosa serva, di cosa ti serve, per darti risposte esaurienti, forse esaustive, chiare, inequivocabili su ogni cosa ti accada.

Forse, questa, è la prima domanda che ci si fa, ogni qual volta ci si guarda in uno specchio, e dopo che ci si è dati risposte su ciò che appare evidente, nel viso e nelle sue parti, su ciò che evidenzia infine la tua estetica.

La ricerca della tua verità invece, richiede che tu possa farti delle domande che trovino eco molto più in profondità, dentro te stesso.

Ed è proprio da lì che devi lasciarti partire le tue risposte, le risposte. Che non saranno assolutamente approssimative, superficiali, illusorie. Ma saranno quelle che ti dicono, appunto, la verità. Su ogni aspetto che attenga alla tua esperienzialità, sia esso un atteggiamento, un comportamento tuo, personale, oppure quello di chi viene in relazione con te, ogni giorno.

E’ l’unica verità, quella.

Che sai esiste, perché poi la senti gridare sotto la tua pelle, una volta che parte da dentro, dal tuo cuore. Non puoi più farti fesso. Se sai accettarla questa verità, ti saprai dare le risposte. E saprai darle ad ogni situazione che hai vissuto. Oltre la percezione di emozioni, di effimere sensazioni. Ed è quella verità la chiave che ti fa guardare in faccia la realtà dei tuoi successi, dei tuoi fallimenti, delle tue colpe, delle tue ragioni.

Può essere che, una volta trovata, riesci a farti una ragione di tutto ciò che ti è successo, che hai vissuto o che stai vivendo, nel bene e nel male, e che forse a lungo ti ha tenuto prigioniero nel dubbio, ma che sapevi bene dovessi fare uscire come si deve da dentro te, per poi finalmente portarti ad accettare tutto, accettarti e accettare ogni persona ti abbia accompagnato o ti stia accompagnando nel tuo percorso di vita.

Ben

amore, Cinema

La radice nel cuore

Anni fa, ho assistito a un film molto coinvolgente, da cui ho preso spunto per parteciparvi questa riflessione. Si tratta del film “Il profumo del mosto selvatico” uscito nel 1995, diretto dal regista messicano Alfonso Arau, e ben interpretato da attori di levatura internazionale quali Antony Quinn, Giancarlo Giannini, Keanu Reeves, Aitana Sánchez-Gijón. Il film è un’accattivante favola, molto romantica. Vi si respira vita verace, che scorre attraverso le vicende emotive e intense dei protagonisti.

Riassumendovi la trama, si parte dal ritorno dalla guerra di Paul Sutton, il quale, dopo aver riabbracciato la moglie Betty (per nulla presa dal suo ritorno, non avendo letto nessuna delle molte lettere inviatele), riprende il proprio lavoro di rappresentante di cioccolatini. Per un susseguirsi di varie coincidenze, Paul si ritrova a “fungere” da marito ad una ragazza di origine messicana, Victoria Aragon, figlia di un facoltoso viticoltore delle valle di Napa, proprietario del fiorente vigneto “Le Nuvole”. La giovane studentessa universitaria, aspetta un figlio illegittimo da un suo professore e teme che il padre, Alberto, la uccida. Paul accetta il ruolo, sia pur fino al giorno dopo, decidendo poi di andarsene con una lettera d’addio. Paul deve scontrarsi subito con l’avversione manifesta di Alberto, molto geloso della figlia e inquietato per non aver saputo nulla della vicenda, ma la simpatia suscitata nella madre di lei, Marie José e soprattutto nel nonno, Don Pedro, rallentano la sua partenza. Paul in quei giorni si immerge nella vita di quella famiglia, vivendo con loro il rito della vendemmia nel clima caratteristico della pigiatura dell’uva. Tutto ciò gli fa prendere gusto e rimanere, decidendo di rispettare Victoria, essendone anche molto attratto e ricambiato. Paul, quindi si ritrova come a casa, trovando nella famiglia della ragazza un rifugio sicuro dai brutti ricordi della guerra che ancora lo atterriscono. Alberto, colpito anche dal fatto che i due non dormano insieme, sebbene il finto genero mostri molto affetto per la figlia, decide di farli sposare con rito religioso. Victoria si vede così costretta a dire la verità al padre, mentre Paul a malincuore pensa di tornare dalla moglie che, nel frattempo, ha provveduto ad annullare il matrimonio. Il giovane, decisamente rinfrancato dall’evento, fa ritorno al vigneto, ma incorre in Alberto, ubriaco, che lo affronta rivolgendogli contro una lampada a petrolio per colpirlo, la quale finisce nel vigneto incendiandolo. Tutti si danno da fare per domare l’incendio ma invano. Solo Paul riesce infine eroicamente ad estirpare la radice della pianta madre della vigna, che ha resistito al fuoco, e dopo quella grande sciagura, sarà proprio quella radice a far rivivere la pianta e le coltivazioni. Alberto si riappacifica così con la figlia e Paul può sposarla, accettando di divenire il padre del nascituro.

Come in ogni favola, quindi, c’è il lieto fine, direte.

La mia riflessione trae spunto proprio da quella radice.

Mi fa pensare a quanti fiumi d’inchiostro siano versati sulla capacità di amare, di continuare ad amare, sulla auspicata e necessaria volontà di essere tenaci nel tenere su ogni legame di amore o amicizia. Penso alla molta retorica usata, a dir poco, quando si parla di ciò che sia “regola” (?) nell’amore, o comunque in riferimento a ciò che debba tessere un legame o una relazione tra due persone che si vogliono, che si vogliono bene, che si amano.

Senza presunzione di pontificare sull’argomento, ritengo che se c’è una radice solida nella pianta madre del loro legame, nel loro cuore, in ciò che lega due cuori, ebbene, essa rimane. Potrebbe succedere di tutto, il terremoto emotivo e sentimentale più impetuoso, il disastro interiore ed esteriore più tragico che abbia minato le fondamenta di quel legame d’amore o di amicizia, ma è nell’esistenza di quella radice, nella sua sussistenza, che vive la linfa che dà modo ai due, reciprocamente, di credere sempre e ancora al sentimento, e di permettere ad essa di rinvigorirsi e poi  ricominciare a portare frutti nuovi e più abbondanti in quel legame.

Per farlo rivivere, appunto, come il fiorente vigneto “Le Nuvole”.

Ben

amore, Racconti

Il loro bacio

Gli bastò il vedere le sue cosce longilinee e appena scoperte, senza calze, sotto la gonna leggera che le ondeggiava sulle ginocchia, per dare a quel giorno una spinta diversa. Il suo portamento lasciava scorgere una donna tranquilla, disinvolta, libera. I tacchi alti aiutavano lei a muoversi nella testa di lui, che non riusciva a staccare i suoi occhi da quella magnifica visione mattutina.

Erano diretti allo stesso posto, lì, sotto la pensilina, ad attendere il bus che portava verso il centro. Il caldo iniziava a farsi strada in quell’inizio di giugno, l’estate si preannunciava come qualcosa che potesse insinuarsi in un loro possibile incontro, per colorarlo di passione e trasporto.
Bastò loro quello sguardo. Fin troppo scontato per essere da soli, ad aspettare quel bus che pareva volesse non arrivare più, quasi di fatal proposito.
E in quello sguardo scattò in entrambi, contemporaneamente, un’immagine, un po’ sbiadita per essere datata ad anni prima. Erano loro. Sì, inesorabilmente. Loro. D’improvviso, i loro volti si vestirono di stupore, meravigliati di come la storia si stesse dando appuntamento, in quel preciso istante, nelle loro vite. In attimi velocissimi, entrambi si ritrovarono in quello sguardo a fare i conti con quel ricordo. Che tornò, irruento, spietato, sfacciato.

A lui ritornò vivo, quel ricordo. Era stata una storia di gioventù, vissuta tra i banchi di scuola, lei fidanzata col suo migliore amico. Di quelle infatuazioni che poi finivano per dare apparenza a un presunto vero legame amoroso. Lui aveva sentito questo, soffrendone, l’aveva sentiva sua, non dell’amico. Era un tormento. Ma li vedeva insieme, forse felici e se ne faceva un’illusoria ragione.

Anche a lei tornò tremendamente viva, quella memoria. Si rivedeva molto presa in quel vincolo adolescenziale, forse dettato dall’ambizione di sentirsi ed essere la predestinata per stare con il primo della classe, il belloccio multiambìto alle contese delle coetanee ma nella consapevolezza che il proprio uomo non dovesse essere il belloccio, ma l’altro, l’amico, il suo migliore amico. E tutto ciò, lei aveva sempre portato nel cuore. E si era sentita irriverente, maleducata nel proprio essere, per voler essere la donna di un uomo sbagliato. In realtà, era davvero innamorata di lui, non del belloccio. Con questi, in fondo gli piaceva stare per ostentare un cliché, l’ambizione di ogni ragazzina. E il belloccio davvero ci credeva. Beh, c’erano i momenti delle effusioni amorose a renderlo convinto di ciò. Evidentemente non bastavano, mancava loro l’oltre, l’indefinito, l’estatico, ciò che lei in fondo vedeva nell’altro…
Al termine di quell’anno scolastico, i tre non si sarebbero mai più visti. Ognuno per la sua strada. Liberi.

Il bus era arrivato. Nessuno dei due se ne era accorto. Erano rimasti assorti l’uno di fronte all’altra, in attimi di fulminea ma intensa lettura di quei ricordi, guardandosi in quegli occhi nuovi, lucidi.
Si avvicinarono di più, si lasciarono andare a un abbraccio, il vero abbraccio di due persone consapevoli di essere innamorate da una vita, quelle davvero innamorate.

Tutto questo se lo dissero mentre il loro bacio colorava finalmente quell’incontro fatale.

Ben

(foto dal web)

Penso che..., Vita

L’estate dentro

E’ appena iniziata ma dà sempre le stesse sensazioni, l’estate.

La senti dentro, quando il fremito del suo scandire, ti riscopre pieno di vita, fa scalpitare tutto ciò che di assopito e solo leggermente risvegliato dalla primavera appena terminata, ti porti nell’intimo.

L’estate, ogni estate reca con sé tanti ricordi, strutturati nella memoria di ognuno. Da quando si è piccoli sino a quelli di una fase più recente.

Mi piace ricordare, da sempre, l’estate della mia infanzia, riflessa nella mia mente, ogni qual volta potevo ammirare il cielo notturno, trapuntato di stelle, con l’emozione di osservare la sua scura luminosità nel silenzio fresco di certe belle notti, al frinire di cicale, lasciando gustare agli occhi gli scintillii delle lucciole, tra l’odore del grano maturo o appena mietuto.

O i primi groppi in gola e i palpiti delle prime cotte adolescenziali, quando non c’era ora pur di godere della compagnia e delle risate della comitiva ove c’era lei.

E, ancora, le sere trascorse sui lungomare delle villeggiature, a mangiare pizza e gelati con la testa già all’indomani, quando ti attendeva un nuovo giorno pieno di sole e mare.

L’estate è la stagione della nudità, si è portati a viverla come metafora di ogni nudità, e non parlo solo di quella fisica. Si è chiamati a mettersi a nudo, a guardarsi in faccia e lo si fa meglio predisposti, favoriti dal clima di disinvolta libertà, con minor pesantezza degli oneri lavorativi e familiari, nell’agire, nel muoversi, fuori dei propri chiusi ambiti di vita.

In tutto ciò ho riscoperto ancora uno stato d’animo, quello che mi porterà sempre dentro ogni estate, e tutto ciò che di essa mi emoziona, è il contenuto dell’estate dentro.

Ogni estate, amici, ci domanda, ci scruta, ci stimola ancora alla vita, a vivere, a non sopravvivere.

E’ una domanda che ricorre per tutti, e ci interpella dal profondo, ogni anno.

Ben

amore, Racconti

Istinti fatali

Si salutarono, lei scese dall’auto, ringraziando Bob per il passaggio.

Era stata una serata straordinaria, trascorsa come altre a passare momenti di comitiva al solito piano-bar, sul lungomare.

Prima che chiudesse lo sportello, le venne in mente di chiedere a Bob se l’indomani avessero potuto completare quel lavoro, mancavano solo alcuni documenti. Ma Bob le rispose, senza alcuna esitazione che parte della documentazione la possedeva lei. Che sbadata, pensò Rossella solo per un attimo, tra sé e sé… Li aveva lei, ed era il caso li desse già a Bob.

“Ascolta, Bob, se sali su un attimo, te li do, così inizi a lavorarci su domani mattina e poi, in pomeriggio, potremmo completare tutta la pratica, insieme.”

Erano da soli, davanti all’ascensore, le loro parole avevano un suono solitario, essendo gli unici, a quell’ora tarda, a popolare l’androne di quell’antico palazzo. Mentre attendevano che arrivasse, Bob e Rossella si guardavano iniziando a sorridere, un po’ ancora brilli per la serata trascorsa insieme agli amici.

“E’ ancora presto per pensare alle ferie, vero Rossella?” “Beh, direi proprio di sì, Bob, le sto aspettando con ansia, ho proprio bisogno arrivi presto agosto, per concedermi un meritato relax… come te, del resto…”, rispose facendogli l’occhiolino.

Bob l’ascoltava e le rispose annuendo,  compiaciuto, fissandola negli occhi, che in quell’ambiente vuoto e terso, illuminato da luci buie, si erano improvvisamente riempiti di un nuovo colore, assumendo una sfumatura più viva del solito castano. Rossella aprì le porte di quell’ascensore, un po’ démodé, classico come il palazzo in cui abitava, facendovi accomodare Bob. Vi entrarono, stringendosi un po’ in quel vano appena sufficiente per alloggiarvi al massimo tre persone. Nel chiuso tragitto, i loro profumi si mischiavano agli odori delle pelli sudate, sprigionando un mix che ai loro olfatti li iniziava a una certa idea, creando eccitazione. Erano vicinissimi. Rossella, leggermente imbarazzata, sorrideva appena al suo collega, anche lui impacciato ma piacevolmente preso da quel momento.

Arrivati al piano, si avviarono verso l’appartamento, lungo un piccolo corridoio nel quale rimbombavano i rumori dei tacchi di lei e il lieve cigolio delle scarpe di lui. Era una cadenza quasi sincronizzata, che alle loro orecchie evidentemente stava lasciando presagire ben altra sincronia. Rossella fece accomodare in fretta Bob nell’appartamento. “Bob, intanto mettiti comodo pure qui, nel salotto. Ti vado a prendere i documenti.” gli disse, togliendosi il soprabito e lasciandosi vedere. Bob non poté non cogliere la trasparenza di quella camicetta, appena un po’ sudata, ma che rivelava, oltre il sottile tessuto di seta, la freschezza e l’avvenenza di una donna attraente, quella che lui aveva sempre vissuto come una collega e amica di serate, ma che ora gli si presentava in una speciale femminilità che lo prendeva.

Una forza irriverente portò Bob a muoversi, per prendere con una mano quei documenti che lei intanto le aveva portato, e con l’altra a toccare sensualmente il braccio di lei, che avvertì come un brivido quel contatto, caldo, come in quel momento le appariva il suo amico. Non ci fu tempo per dirsi nulla, Bob poggiò frettolosamente le carte sul tavolo, deciso, senza lasciar distogliere lo sguardo eccitato dagli occhi di lei che gli stavano proprio dicendo di afferrarla, abbracciarla e possederla come desiderava, come probabilmente aveva sempre sognato di lasciarsi prendere da lui.

Il bacio fu molto eloquente, mentre Bob le sbottonava la camicetta. Le mani di entrambi iniziarono a correre lungo i loro corpi, fino a spingersi più giù, dappertutto. Avevano insieme risposto ai rispettivi, comuni istinti, a ciò che stavano per vivere.

Si lasciarono sfilare i vestiti da dosso, ricordando la cadenza dei passi che li avevano accompagnati a quell’amplesso.

E continuarono a camminare sulle loro pelli, sempre più su, verso le altezze estasianti del piacere. Innamorati.

E arrivarono presto, le loro ferie.

Ben

(foto dal web)

Penso che..., Vita

Attese

Penso spesso alle attese vissute nella mia vita.

Sì, vissute. Anche le attese fanno parte delle cose che si vivono, sebbene possano sembrare fasi, momenti passivi, àfoni, tempi persi, lasciati allo scorrere inerte dei minuti, delle ore, dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni.

Molte volte, per me, sono state come preludi di piaceri, di eventi aspettati con ansia, con trepidazione. Sono state dei processi che come unico risultato hanno condotto al godimento, alla gioia, condivisa o non.

Parafrasando Wilde, è vero poi che in un certo senso sia l’attesa di un piacere essa stessa un piacere.

Questi tipi di attesa, che hanno sovrastato quelli più brutti, trascorsi ad aspettare si realizzassero eventi non graditi e tristi, queste belle attese che vivificano anche ricordi, sono un po’ come il leit motif esistenziale che mi motiva ancora, che mi spinge a crearne di nuove e più stimolanti.

Sebbene oggi ci sia chi vive le attese per aspettarsi l’imprevedibile, l’inedito, anche il non gradito, disponiamoci quindi a vivere così, forse da sognatori o forse no. Per continuare a far si che questa vita abbia ancora un senso, se ci preoccupiamo di creare attese per momenti belli, piacevoli, realizzanti.

Ben

Penso che..., Vita

Sapere di te.

Iniziare a conoscere un’intimità, e poi riuscire a farne parte, è una delle più interessanti emozioni che possano coinvolgere l’animo umano.

Si può partire da un incontro, reale o virtuale. O dalla lettura di uno scritto, ove può trovare spazio una visione particolare di chi ti ha trasmesso sensazioni, emozioni, messaggi, anche indiretti.

E, pian piano arrivare, entrare, come quando si sta per chiedere il permesso di accedere in una casa nuova, di cui ti è chiaro solo l’aspetto esteriore, la sua estetica, il suo look.

Poi, però, se ti accingi ad entrare quando c’è chi ti dice:  “prego, accomodati”, allora inizi a percepire nuove viste, scorci, odori, dettagli che ti permettono di scoprire quell’intimità. Ti accorgi che non è per tutti, in quel momento. Sei tu il privilegiato. E devi usare molto tatto, delicatezza, rispetto per entrare in quella casa. Facendo attenzione a camminare con garbo, senza calpestare nulla, nulla che possa farti scoprire come un inopportuno e fastidioso visitatore.

Entrare in una persona, quando ti è permesso, comporta tutto ciò. Spesso, ti senti come un visitatore entusiasta di scoprire qualcosa di mai visto, di ancora sconosciuto. Che sai, per certo, che comunque ti arricchirà. E che desideri sia così. Altrimenti, nulla di tutto ciò può avere un senso per il tuo viaggio di conoscenza.

Il piacere dell’incontro, se è reciproco, fa sponda al progressivo approfondimento degli aspetti caratteriali, dei luoghi dove le persone hanno via via costruito la propria storia. Questa storia che ora entra e si fa entrare dentro di sé.

Filo conduttore, il desiderio recòndito di sapere dell’altro e di lasciare che l’altra intimità possa sapere di te. E’ una gran bella cinematografia tutto ciò. Come assemblare la sceneggiatura di un bel film. I protagonisti, noi. Scorrere attraverso le scene, dal primo sguardo, dalla prima stretta di mano, alla scelta di lasciarsi conoscere. Questione di sintonia, che ti auguri divenga empatìa, la chiave giusta per entrare e rimanere nell’altra intimità. Del resto, lo s’intuisce dai primi momenti se sarà così. Ma se lo sarà, avrai in mano il pincode per sapere di lei.

Quando finalmente si è riusciti ad entrare, allora ci si è accomodati nel salotto, a condividere un drink di amicizia, di convivialità, il salotto del cuore. Ma più ancora della testa, ove rimarrà impresso in maniera indelebile quel primo incontro, quel benvenuto. Insieme, si avrà voglia di conoscersi sempre di più, di far parte, di farsi parte. Di amarsi.

E di sapere. Di sapere di te.

Ben

immagine dal web

amore, Penso che...

La ragione del cuore/2 – Cuori alti

Cuori alti, sempre.

E’ un’ottima strada per reggersi, determinarsi, imporsi. Anche contro le difficoltà più improvvise, inaspettate.

Come dire: se hai questa capacità, cioè di rimanere a cuore alto, hai sicuramente gli attributi.

Sono i momenti bui, quelli vissuti all’ombra di sé e degli altri, ciò che può, deve far scattare questa molla di lasciar rimanere almeno il cuore, in alto. La ragione non può farci nulla, è sconfitta. Ma il cuore può pensare al suo posto e farti continuare a volare. Volare con la testa presa dai sogni, quelli visti a occhi chiusi, ma anche quelli attesi a occhi aperti. Quando è il cuore che prende il posto di comando, riusciremo a guardarci allo specchio in un modo diverso, ci piaceremo di più, probabilmente piaceremo anche di più.

I cuori alti sono quelli che ragionano meglio. E quando un cuore ragiona, ama meglio, di più. Anche un cuore ha una mente. Quella che ti spinge oltre, che completa la tua follia, che ti fa vivere l’amore in pienezza. Ha anche una pelle, il cuore alto. Quella che ti fa continuare a sentire chi vuoi bene. Ma quella che soprattutto riesce ad accarezzare te stesso, quando percepisci che qualcosa non va.

I cuori alti sono il piano B di ogni personalità, purtroppo. Dovrebbero rientrare nel piano A, si sa. Ma, forse, è meglio così: si trova in essi l’ancora di salvataggio quando scatta la molla che ti svela il volto nascosto del cuore, ove si trova l’inedito, l’imprevisto, l’improbabile. Intesi come aspetti del lato nascosto del cuore, un po’ come il lato nascosto della Luna, misterioso, ma pur sempre autentico nel proprio essere.

Occorre tanto cuore alto. Oggi più che mai. C’è bisogno di elevare il cuore, farne vedere a tutti il valore.

La sua ragione di essere.

Ben

amore, Penso che...

La ragione del cuore

A un cuore in pezzi nessuno si avvicini senza l’alto privilegio di aver sofferto altrettanto.

– Emily Dickinson

E’ il centro della personalità. Gli antichi ritenevano che in esso fosse inscritta ogni intelligenza.

Il cuore, spesso, porta a scegliere in un senso contrario e opposto rispetto a quello che gli suggerirebbe la ragione. Ma anche il cuore ha una testa. Forse la ragione dovrebbe imparare dal cuore a ragionare.

Personalmente, credo che un fondo di verità sia nascosto in un cuore che ragioni, anche se si dice che le decisioni più importanti siano quelle prese d’istinto, solo lasciandosi convincere dalle sensazioni, dalle emozioni, da tutto ciò che parte in realtà dalla testa.

Il salto di qualità di un cuore che ragioni è quello di credere nel sentimento. Consiste nel passare, cioè, dal piano delle emozioni puro e semplice a quello della consapevolezza che dentro di sé è maturato, è cresciuto o sta crescendo quel qualcosa che rende o può riuscire a rendere il cuore intelligente, appunto attraverso il vero sentimento.

E allora, succederà che quando scopri di essere attratto da un’altra intimità, il tuo cuore potrà capire che è lì lo spazio dove farà quel salto di qualità, e più nulla e nessuno potranno distogliere dalla sua forza sentimentale l’intimità dell’altro che ti attrae, che ti ha preso visceralmente e ti conduce a desiderarlo, a vivere insieme un sogno o una favola di vita che dir si voglia.

Il valore del sentimento porta all’accettazione dell’altro, nella logica dell’assoluto, dell’esclusivo, del perentorio, del totalizzante. Nulla, nemmeno la rispettiva sofferenza potrà scalfire questa unione e il cuore, i cuori, avranno in ogni istante le idee chiare su ciò che li ha uniti e li continua a unire, ancora una volta in più.

Non tanto secondo un “per sempre”, quanto piuttosto secondo un “ancòra” che sarà scandito nel tempo, ogni giorno, fausto o infausto che sia.

E’ proprio questa la ragione del cuore.

Ben

amore

Il primo bacio

Ricordi il nostro primo bacio…?

…Non potrò mai dimenticarlo.

C’è chi lo idealizza, chi lo ritiene la poesia dell’amore, chi ne fa oggetto dei più avvenenti aforismi o pensieri.

Fatto sta che il bacio è quel gesto irrinunciabile nella vita affettiva, amorosa, di ogni persona. Ha in sé il desiderio recondito di perfezionare un legame, un saluto. Tra due innamorati è la loro aria, la loro ragione di essere, i loro baci sono i mezzi che li fanno volare ovunque, li conducono nella danza dei loro momenti intimi, dei loro amplessi. Non esiste l’eros senza il bacio. Poesia, sì, ma anche prosa, intrigante e seducente, eccitante veicolo che accompagna nel viaggio della passione. Esso è il vestito di chi, innamorato, vuole lasciarsi appartenere, possedere. E già, il bacio… L’intervallo tra due sì, che a volte rimangono sospesi nel tempo, ma che sono a loro volta gli agganci solidi di quel filo sul quale si regge la passione, la voglia, il desiderio di stare e rimanere estasiati dentro l’altro, non solo fuori vivendosi nell’attrazione fisica. Talvolta esso è il più trasgressivo dei “casti” gesti d’amore. Più che l’atto sessuale, è il bacio, il desiderio più intimo di fondersi con un’altra intimità, la voglia di appartenersi, anche solo per una volta. E’ l’atto d’amore, non un preliminare. Il bacio è l’amore. In esso c’è l’amore, c’è tutto l’universo dell’amore.

Il primo bacio, in più, è ciò che t’incide dentro. Che ti segna. Meglio della prima volta che ti è venuto di dire un sentito, esuberante,“ti amo”. E’ un piacevole, quanto indelebile tatuaggio che ti porterai impresso sul cuore, sulla pelle, nella testa, per tutta la vita. E’ l’incontro dirompente, travolgente delle farfalle che svolazzano trepidanti ed eccitate nello stomaco dei due innamorati. Anche se quel primo bacio l’hai dato a una persona con la quale, poi, non hai condiviso il resto di tutti i tuoi giorni. Il primo bacio è ciò che ti ha rivelato finalmente come uomo o donna maturi, finalmente arrivati, da quel momento, all’età adulta. Esso è proprio il biglietto d’ingresso alla prima di un’Opera la cui melodia non potrai mai più dimenticare.

Le prime note di quest’opera sono rappresentate dai primi attimi nei quali, tanto che ci si è desiderati, non si è atteso altro che unirsi, accostare le proprie labbra in un fremito di viscerale desiderio dell’altro.

Si sono scritte e raccontate stupende sceneggiature, a partire dal bacio, anche del primo bacio, e i film più belli hanno sempre una scena dov’è il bacio, il primo attore, il protagonista principale. Che è, poi, ciò che te lo fa ricordare meglio, quel film…

“Eravamo fuori la scuola quel giorno dei primi di settembre, avevamo pensato al nostro primo momento per tanti giorni, e quella notte precedente non ci aveva risparmiato, nel pensarci. Era stata quella tremenda insonnia il nostro letto di spine, ma dalle punte dolci, disarmate e disarmanti.

La pioggia fresca, di quel cielo appena coperto e precocemente autunnale, fece da scenario per il nostro primo esordio. Il muretto, appena dietro il cancello secondario di accesso alla palestra, ne era stato il sipario, idealmente chiuso per noi, solo per noi, nel voluto nascondimento intimo. La nostra prima effusione, il preliminare dettato dalle parole, dai soffi dei nostri profumi, dei nostri aliti, i centimetri che via, via si erano accorciati tra i nostri volti, attirati dalle calamite degli occhi pieni di vorace desiderio di entrare…”

“Ci stava sbirciando la tua amica del cuore, che sapeva di noi, era incuriosita e, un tantino, anche ingelosita della cosa… (ce lo riferì poi, visto che in un certo senso sarebbe rimasta da sola, dopo, credendo di “perdere” te, la sua migliore amica, addirittura …). Ma ci lasciammo andare, proprio sotto la finestra della presidenza, folli e incuranti di chi poteva sorprenderci, anche fosse stato il preside. E fu un delirio, quella nostra prima effusione, avvinghiati l’un l’altra, scoprendoci eccitati, stringendo i nostri corpi, desiderando altro, oltre… .

Quel bacio racchiudeva tanti nostri sguardi, tante nostre parole che avevano formato il preludio della colonna sonora del film del nostro amore.”

“Il nostro film iniziò quel giorno. E lo rivivevamo ancora, il nostro primo bacio, ogni volta che lo ricordavamo baciandoci. Ed erano come tanti déjà-vu, poi, quei baci. Ma sempre nuovi, unici e irripetibili. In essi, ricordiamo ancora l’incanto del primo, dell’arcano. Con il suo ardore, il suo fascino. Non finiremo mai di riviverlo, in fondo, quel nostro primo bacio. Come dentro un film, appunto, il nostro…”

 

Ben